venerdì 30 dicembre 2011

La rivoluzione islandese


Islanda, isola di ghiacci e vulcani. Avete sentito parlare dalla rivoluzione islandese. Non si parla molto nel mondo dei mass-media. All'inizio della crisi finanziaria del 2008 l'Islanda è andata letteralmente in bancarotta. E le ragioni sono menzionati brevemente, dopodichè il paese nord europeo poco conosciuto sparisce dei radar. Uno dopo l'altro i paesi europei si trovano faccia a faccia con il fallimento. Questo da parte sua minaccia l'esistenza della moneta unica, che avrà conseguenze diverse per tutto il mondo. In una situazione come questa, l'ultima cosa che vogliono i poteri forti è l'esempio dell'Islanda. Ecco perchè:
Cinque anni di regime neoliberista trasformano l’Islanda in uno dei  paesi più ricchi del mondo. Popolazione 320.000 persone, niente esercito. Nel 2003 sono state privatizzate tutte le banche. Per attirare gli investitori esteri è stato introdotto il banking on-line. La riduzione dei costi permette rendimenti relativamente più alti. Conti chiamati Ice Save attirano molti piccoli investitori inglesi e olandesi. Ma con l'aumento degli investimenti cresce anche il debito estero bancario. Nel 2003 il debito dell'Islanda è il 200% del prodotto interno lordo e nel 2007 al 900%. La crisi finanziaria del 2008 è il colpo mortale. Le tre banche principali - Landbanki, Kapthing e Glitnir per non fallire sono state nazionalizzate e la corona perde l'85% del suo valore nei confronti dell'euro. Alla fine dell'anno l'Islanda annuncia il proprio fallimento. Il premier del governo di coalizione, il socialdemocratico Geir Haarde fa trattative per ottenere un debito di 2,1 miliardi di euro, a cui i paesi scandinavi aggiungono altri 2,5 miliardi di euro. Ma gli ambienti finanziari internazionali fanno pressione sull'Islanda chiedendogli di adottare misure radicali. L'UE e il FMI insistono ad adottare il debito pubblico islandese, sostenendo la teoria che questo è l'unico modo per pagare l’Inghilterra e i Paesi Bassi. Il popolo invece non è d’accordo, proteste e sommosse continuano e alla fine il governo è costretto a dare le dimissioni. Dopo le elezioni del 2009 al potere arriva una nuova coalizione di sinistra. Condanna il sistema economico neoliberalista, ma si arrende quando al paese viene richiesto di pagare il debito di 3,5 miliardi di euro. Questo in poche parole vuol dire che ogni cittadino islandese dovrebbe pagare 100 euro dalla propria tasca per un periodo di 15 anni per un totale di 12 000 euro a testa (c'e da sottolineare che questo è un debito accumulato da privati verso privati,e ancora-i profitti sono privati ma i debiti nazionalizzati). Poi all'improvviso succede l'impensabile. L'idea che i cittadini devono pagare per gli errori dei monopoli finanziari e che il paese intero deve pagare le tasse per rimediare ai debiti dei privati, cambia completamente il rapporto tra i cittadini e le loro istituzioni politiche. I leader politici islandesi prendono la parte del popolo. Il presidente Olafur Ragnar Grimsson rifiuta di ratificare la legge che rende i cittadini islandesi responsabili del debito delle banche islandesi e convoca un referendum. Naturalmente, la pressione internazionale aumenta. La Gran Bretagna e i Paesi Bassi minacciano rappresaglie che porteranno all'isolamento del paese. Alla vigilia del referendum il FMI avverte che non presterà nessun aiuto, il governo britannico minaccia di congelare i conti correnti e i risparmi degli islandesi. Grimsson ha dichiarato: "Ci hanno detto che se non accettassimo le condizioni del pagamento del debito diventeremo una Cuba del Nord. Ma se accettiamo, diventeremo un Haiti del Nord."
Al referendum del marzo di 2010, il 93% ha votato contro il pagamento del debito pubblico. Il FMI blocca immediatamente ogni credito. Ma la rivoluzione, di cui i mainstream media non parlano proprio, non si spaventa. Alimentato dalla rabbia dei cittadini, il governo ha iniziato delle indagini civili e penali contro i responsabili della crisi. L’Interpol ha emesso un'ordine internazionale  di arresto per l'ex presidente della banca Kaupthing-Sigurdur Eynarson, mentre altri banchieri e altri coinvolti nel crollo finanziario stanno fuggendo del paese. Gli islandesi però non si fermano qui: decidono di adottare una nuova costituzione che avrebbe liberato il paese dal potere della finanza internazionale e del denaro virtuale. Per farlo decidono di eleggere 25 da 522 adulti che non partecipano in nessun partito politico, che vengono raccomandati da almeno 30 persone. Si chiama assemblea costituente ed è composta da docenti universitari, intelettuali, giornalisti, avvocati. Le loro riflessioni partono da un documento di 7oo pagine scritti da una comissione di osservatori, riuniti nel National Forum. Il progetto viene chiamato Magna Carta, può essere seguito liberamente sui social network e su un canale youtube.
Questo documento non è opera di una manciata di politici ma è stato scritto su internet. Le riunioni costitutive sono condotte on-line, i cittadini possono discutere, scrivere i loro commenti e presentare proposte,osservando personalmente come la loro costituzione prende forma. Nata con la partecipazione a livello nazionale, la nuova costituzione sarà approvata dal Parlamento dopo le prossime elezioni.
Oggi le stesse soluzioni si propongono ad altre nazioni. Ai greci invece viene detto che l'unica soluzione per loro è la privatizzazione del loro settore pubblico. La stessa minaccia si espande sui spagnoli, italiani e portoghesi.
Invece noi restiamo stupiti dall'Islanda e del suo rifiuto di sottomettersi agli interessi stranieri, in quanto paese minuscolo, ma che con una voce forte e chiara ha dichiarato che la sovranità è del suo popolo.
In Islanda è stato riaffermato un principio fondamentale: è la volontà del popolo sovrano a determinare le sorti di una nazione, e questa deve prevalere su qualsiasi accordo o pretesa internazionale.