martedì 29 gennaio 2013

Mali tra violenza e risorse naturali

Il Mali è uno dei paesi più poveri del mondo. Il terreno secco e arido permette soltanto la coltivazione di miglio e alcune verdure. Però il sottosuolo nasconde enormi ricchezze. Il paese fa parte dalla così detta "fascia d'oro" che attraversa tutta l'Africa occidentale - Senegal, Guinea, Mali, Burkina Faso, Nigeria e Camerun. La zona è ricchissima di petrolio, rame, bauxite, diamanti e altre pietre preziose, oro e immense riserve di  gas naturale e petrolio. A maggiore profondità si trovano giacimenti di idrogeno puro - una vera rivoluzione in quanto gli scienziati ritenevano che questo elemento non si trovasse in forma pura in natura. Nel nord del paese si trovano le miniere d'oro che occupano il terzo posto nella produzione nel continente dopo il Ghana e il Sud Africa. Da queste parti troviamo l'ENI che ha ottenuto licenze per cercare petrolio. Invece nella parte sud-occidentale del paese - a Falea  si trovano giacimenti di uranio con stime di 5000 tonnellate. L’esplorazione di questo giacimento è stata affidata alla compagnia canadese Rock Gate che si occupa di ricerca di uranio e argento in Africa Occidentale (The Falea Project).  Nella regione Gao invece, nel nord-est del paese - a Samit, esiste un giacimento di 200 tonnellate scoperto dalla compagnia canadese Bayswater Uranium Corporation, che ha poi venduto la sua licenza che copre un perimetro di mille chilometri quadrati alla Cascade resources Ltd. Ma non è finita qui - a Kidal, nella zona settentrionale del Paese, finita nelle mani degli islamisti radicali, in località Adrar del Iforas, la compagnia mineraria australiana Oklo Uranium Limited, avrebbe identificato un giacimento per un investimento abbastanza serio.
La mancanza di uranio nel mondo occidentale dopo la fine del programma "Megatons in Megawatts" turba profondamente gli spiriti. Si tratta di un accordo tra gli USA e la Russia, firmato nel 1993 per convertire l'uranio ad alto arricchimento (HEU) tratto dalle armi nucleari russe, smantellate in uranio di basso arricchimento (LEU) per combustibile nucleare. Entro il 2013, quando il programma sarà completato, 500 tonnellate di uranio russo altamente arricchito (HEU) - l'equivalente di 20.000 testate nucleari - saranno riciclate in uranio di basso arricchimento (LEU). Il materiale è abbastanza per la produzione di combustibile nucleare che potrebbe alimentare tutti gli Stati Uniti per due anni. La scadenza del programma è nel 2013, il suo valore commerciale è di oltre 12 miliardi di dollari. Dopo resta un buco enorme da ricoprire, gli impianti nucleari americani hanno bisogno di uranio per andare avanti con la produzione di energia.

Scavare per uranio è un processo accompagnato da un certo numero di cicli di  lavorazione. Si inizia con un grande spostamento di terra. Allo stadio successivo l'estrazione viene effettuata con l'aiuto dell'acido solforico, poi segue la lavorazione meccanica е alla fine resta un'enorme quantità di rifiuti chimici, leggermente radioattivi. Ma questo li rende ancora più pericolosi perché non tutti i dispositivi riescono a rilevare la loro presenza. Essi, se non smantellati e riciclati  nel modo giusto, uccidono. Possono essere ancora più pericolosi degli elementi radioattivi perché entrano tranquillamente nel corpo attraverso l'acqua, il cibo e l'aria e così hanno un impatto per molti anni.
Dall'aprile 2012 Al Qaeda nel Maghreb Islamico (Aquim) controlla questi territori. Nel corso di due settimane i Tuareg hanno assunto il controllo di vaste zone del nord, inclusa la città di Timbuktu. Secondo" Le Figaro" e "Washington Post", gli USA potrebbero utilizzare droni, mentre Parigi ha già dato il via alle forze speciali già presenti nella regione. Tristemente, anche Italia (che ripudia la guerra) ha confermato il suo supporto aereo.



Con 500.000 sfollati su 15 milioni di abitanti, l'opzione militare era data per scontata da mesi: ONU, Unione Africana, UE e CEDEAO condividono il timore di un'implosione del Mali attraversato da spinte secessioniste, col radicamento di gruppi radicali islamici e la destabilizzazione dell'intera regione. La Francia in 12 giorni ha già speso 30 milioni di euro. Nel tempo la direzione delle relazioni estere è diventata sempre più pragmatica e filo occidentale. Pesa l'incertezza dei poteri locali tra scosse e colpi di stato, corruzione e favoritismo verso dirigenti mediocri, mentre il Mali torna ad invocare l'aiuto dell'ONU. Servirebbero politici locali forti e determinati, ma purtroppo non ci sono più - l'ultimo è stato ucciso 35 anni fa, era pericoloso, sosteneva che le ricchezze africane devono restare agli africani. In tanto è in corso una pesantissima crisi umanitaria. La  popolazione locale  si trova a combattere quotidianamente con la fame e la sete. Questa è la peggiore situazione dei diritti umani negli ultimi 50 anni. Centinaia di migliaia di persone sono state costrette a lasciare il nord del paese, sconvolto dai combattimenti e decine sono state arrestate, stuprate o uccise. Secono UNHCR oltre 350.000 persone sono state costrette a lasciare le loro case per causa dei combattimenti tra i ribelli e le forze governative, decine di migliaia trovano rifugio  nei paesi confinanti - Algeria, Burkina Faso, Mauritania e Nigeria, alcuni sono arrivati fino al Togo e alla Guinea. I rifugiati e gli sfollati sono prevalentemente di etnia Tuareg, ma ci sono anche altri gruppi coinvolti come i Peul, i Bambara, i Djerma, gli Haussa e i Songhai. Molti di loro sono pastori, ma hanno perso il bestiame e con esso ogni speranza di sopravivere. Ma anche nei paesi di accoglienza le risorse sono molto limitate, a causa della gravissima siccità che ha colpito la regione Sahel nel 2012. Le testimonianze raccolte da Amnesty International raccontano che le donne e le ragazze vengono stuprate, spesso in gruppo, da uomini armati, in particolare nelle zone di Menaka e Gao. Tutte le parti nel conflitto hanno commesso violazioni dei diritti umani, si riscontra la presenza di bambini soldati - un'altra volta i più deboli pagano il prezzo più alto. Partita anche la denuncia dell'UNICEF che ha chiesto a "tutte le parti in causa, leader e membri della comunità, di garantire che i bambini siano protetti dal conflitto armato e che non partecipano alle ostilità".
Bisogna vedere cosa c'e dietro le buone intenzioni degli occidentali. La situazione ricorda molto altri scenari già visti nel passato con risultati non ben chiari (Afghanistan, Iraq, Libia, ecc...). I posti sono sempre quelli ricchi di risorse naturali, il nemico è sempre il ribelle infedele. IL prezzo più alto viene sempre pagato dalla popolazione locale che viene massacrata, sfollata, umiliata e alla fine le sue sofferenze non sono altro che pretesto per l'ennesima guerra inutile. Ma cosa porterà questa guerra al Mali? Sarebbe il caso di dirlo - le ricchezze africane devono restare in Africa per contribuire allo sviluppo locale, le infrastrutture, il lavoro, le scuole - cose che sono quasi inesistenti. E' questo che dobbiamo fare per loro, insegnarli come fare da soli, e l'Africa potrebbe diventare il paradiso terrestre. Questo è il nostro sogno. 












martedì 8 gennaio 2013

Colombia tra conflitti armati e disuguaglianza

La Colombia è considerata il terzo paese più disuguale del mondo, dove lo 0,4% dei proprietari possiedono il 64% della terra. Più della metà della popolazione vive in povertà e ci sono oltre 4 milioni di migranti per colpa dei conflitti armati interni. Qui c'e il record mondiale di sindacalisti assasinati per le loro azioni in difesa dei diritti dei lavoratori e molti sono stati percossi o hanno subito persecuzioni, intimidazioni o arresti da parte delle autorità. E' un paese molto ricco di biodiversità e risorse naturali, che sono state sfruttate negli ultimi dieci anni da diverse multinazionali che finanziano i gruppi paramilitari terroristici come le AUC. Essi affermano che il loro obiettivo primario è proteggere i suoi finanziatori e sostenitori dagli insorti e dalle loro attività, tra cui il rapimento, l'omicidio e l'estorsione, per via della debolezza dello stato colombiano che storicamente non è mai riuscito a garantire tale protezione.  

Multinazionali come Chiquita e DOLE (che sono tra i più grandi produttori ed esportatori di frutta nel mondo) per anni hanno sostenuto di non aver mai pagato i paramilitari, ma stranamente risulta che non hanno mai subito guai o estorsioni (caso unico in Colombia). Il comandante Gregorio Mangones Lugo (uno dei capi delle AUC che autoconfessa di aver ucciso oltre 600 persone) racconta un’altra verità: «Ci pagavano per mantenere la sicurezza nelle loro piantagioni, per proteggere i loro dirigenti» ed anche per riportare alla ragione quanti reclamavano «condizioni lavorative e salari ingiusti o esagerati». Si contano oltre 4.000 vittime civili. Chiquita è stata condannata a pagare una multa di 25 milioni di dollari perchè versava soldi alle AUC e anche alle FARC  "sulla base del patteggiamento".

Venti anni di guerra alla droga non sono riusciti a sospendere la coltivazione di coca nelle Ande che oggi occupa una superficie di 150.000 ettari e continua a rifornire un mercato pari a oltre 100 miliardi di dollari. Quest'attività ha perso terreno in Colombia (il più grande produttore di cocaina nel mondo) negli ultimi vent'anni, ma solo per conquistare territori nei paesi limitrofi. La produzione diminuita in Colombia viene compensata con la produzione in Perù e Bolivia. I laboratori sono stati spostati in Ecquador e Venezuela, e il traffico - in America centrale e Messico. La Bolivia attualmente coltiva oltre 31.000 ettari (12.000 dei quali sono per uso legale e tradizionale di questa pianta considerata sacra nella cultura delle Ande), dalla quale produce oltre 115 tonnellate di cocaina. Un rapporto ONU indica un calo significativo della produzione di cocaina in Colombia rispetto al 2006, quando la produzione annuale aveva raggiunto 660 tonnellate. Secondo un rapporto dello ONDCP (Office of National Drug Policy), nell'ultimo anno la produzione di cocaina pura in Colombia è diminuita del 25%. Per la prima volta il paese si piazza dopo Perù e Bolivia. La situazione è molto diversa rispetto a quando i potenti cartelli colombiani controllavano tutto il processo - dalla raccolta delle foglie di coca fino alla vendita di cocaina sulle strade americane. La differenza tra la Colombia e gli altri paesi produttori di coca è che dalla metà degli anni sessanta è dilaniata da conflitti armati interni. A guidare l'organizzazione della guerriglia comunista del paese ci sono le FARC (che a poco a poco si sono impossessati del traffico) e le milizie paramilitari di estrema destra, trasformate in bande.

Accanto alle situazioni economiche, un secondo fattore determinante è la situazione di violenza in Colombia. I conflitti armati interni e internazionali, con le loro conseguenze in termini di desplazamiento forzado hanno un impatto devastante sulla vita delle donne. Alcune preferiscono lavorare nell'industria del sesso in paesi di frontiera piuttosto che convivere con la violenza nel proprio paese. Ma in un paese dove il machismo è una iattura secolare, dove il 98% dei casi di violenza sessuale restano impuniti, dove le donne - fedeli o infedeli - non vengono lapidate ma sfregiate con acido, fatte a pezzi col machete, strangolate, cremate con la benzina, c'e poco da fare. In Colombia il 60-70% delle donne hanno subito qualche forma di violenza nella loro vita, la presenza di armi nella società è strettamente legata alla cultura patriarcale e macho, che riconosce che le donne dovrebbero portare armi per proteggere sè e la propria famiglia. Solo che invece di garantire la sicurezza, queste armi promuovono la violenza contro le donne durante i periodi di conflitto.

In questo momento il governo della Colombia sta facendo dialoghi di pace con la guerriglia delle FARC, dopo una lunghissima trattativa segreta si sono accordati su cinque punti:


1. Politica agraria


2 .Partecipazione alla politica


3. Fine del conflitto armato


4. Soluzione al problema delle droghe illegali


5 .Riparazione alle vittime


Questo offrirebbe la possibilità di fermare la repressione armata di un conflitto tra il popolo e il modello di sviluppo promosso dalla oligarchia, che ha avuto un altissimo costo umano e sta devastando da anni un paese intero.