giovedì 22 settembre 2011

Princess Hijab - L'arte della ribellione



Art-terrorista o burlona?

L'Europa forse crede che la storia con il divieto di portare il velo è chiusa, non c'e più nulla da discutere. Nella laica e repubblicana Francia dove è entrato in vigore il divieto assoluto di indossare il burqa in luoghi pubblici è nata una forma di critica molto particolare. La giovane ed elusiva artista di graffiti Princess Hijab.

La ventunenne street-artista continua ad attaccare la metropolitana parigina mettendo (con un marker o spray nero) il velo musulmano sulle donne (e uomini?) seminude dei cartelloni pubblicitari. Le pubblicità "hijabbizzate" variano dai lussuriosi poster di D&G di biancheria intima agli annunci osceni delle librerie Virgin. Ma siccome Parigi ci tiene molto ai suoi spazi pubblicitari nella metropolitana, la sua arte resta in vita per non più di un'ora, prima che le sue opere vengono rimosse dalle autorità. E mentre per i responsabili delle campagne pubblicitarie gli attacchi di Princess Hijab sono un vero problema, per le gallerie parigini questa arte partigiana è una scoperta unica. Oltre in gallerie e musei francesi, le fotografie delle pubblicità "hijabbizzate" sono state esposti in mostre a New York e Vienna, scatenando dibattiti sul femminismo e fondamentalismo. 


L'artista britannico Banskey famoso per la sua cruda onestà tragicomica dei suoi graffiti, si dichiara un suo grande fan e sta cercando di organizzarle una mostra a Londra.
Ma l'identità dell'artista resta un mistero. Potrebbe essere un cinquantenne bianco che ha votato Sarkozy? O la figlia di emigrati arabi? Non si sa.
"Il mio lavoro è djihad ( anche se molti non lo sanno la parola djihad ha tanti sensi, in questo caso porre in risalto i principi della non -violenza). Lo faccio perchè mi diverte" ha detto in una intervista e-mail per  l'inglese Guardian (che gli ha dedicato anche la copertina, titolata Underground Resistance). In Francia la chiamano "terrorista visuale". Lei però si dissocia da definizioni come "femminista da estrema sinistra contro lo sfruttamento delle donne" o "fanatica religiosa contro la nudità del corpo umano", visto che nelle sue opere l'unica parte del corpo che copre è sempre e solo il viso, quindi nulla di tutto questo.

"Il velo ha molti significati nascosti", dice lei, "può essere sia laico che sacro, consumista e ipocrita. Dal goticismo arabo alla condizione dell'uomo - le interpretazioni sono infinite, e naturalmente, il suo forte simbolismo di razza, sessualità o geografia reale o immaginaria..."
Sulla scena maschilista della street art a Parigi,  i graffiti di  Princess Hijab hanno avuto un successo grandioso. Sono basati meno sulla tecnica particolare, ma piuttosto sono una provocazione contro la spiegazione ipocrita del divieto governativo di indossare il burqa. Sei anni dopo che in Francia sono stati proibiti tutti simboli religiosi visibili, il governo Sarkozy (seguito da quello Berlusconi) ha vietato il velo musulmano, così scatenando scandali turbolenti sui diritti delle donne, l'islamofobia e le libertà civili. Agendo in modo semplice e quasi infantile, questi  "atti di sabotaggio" della Principessa erano talmente pungenti che gli hanno guadagnato la popolarità non solo in Francia ma in tutto il mondo.
"Sono contro la passività e l'inazione delle donne, molte, troppe donne.Ma i media occidentali dovrebbero smettere di limitare tutto alla violenza e al terrorismo"
La Francia ha la popolazione musulmana più numerosa di Europa. Il discorso dominante anti-immigrati e il divieto burqa privo di significato (come molti percepiscono) rafforza il senso di emarginazione vissuta dai giovani musulmani e minoranze.
Se le sue opere riguardavano solo il divieto del burqa, sarebbe difficile avere risonanza a lungo. Ma il vero problema è il problema della integrazione in Francia.
Eppure nei suoi graffiti c'e qualcosa di molto francese -la posizione anti consumista di distruggere la pubblicità.
Inoltre, l'idea del velo musulmano è separato della religione nei suoi graffiti. Entrando nella cultura di massa si è discusso in termini di scelta e libertà dalla espressione artistica.








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