martedì 3 maggio 2011

Blood Diamonds-capitolo 2




Sul piano tecnico (quello degli sforzi per far sì che i diamanti grezzi esportati dalla Sierra Leone fossero accompagnati da una certificazione ineccepibile) il risultato più apprezzabile era stato raggiunto con la costituzione di una Commissione tecnica che mettesse a punto un processo di certificazione (chiamato "Il procedimento Kimberley", dal nome della città sudafricana con un ruolo chiave nella estrazione e nel commercio dei diamanti).
Il "Kimberley process" è stato costituito su iniziativa del Sudafrica da rappresentanti di governi, organizzazioni internazionali (ONU), numerose Organizzazioni non governative, e operatori economici del settore diamantifero, per arrivare alla definizione di un sistema di certificazione dei diamanti grezzi che possa garantire la provenienza da legittimi impianti di estrazione. L'obiettivo è quello di fermare il commercio illegale di questi diamanti, che costituisce la principale fonte di finanziamento per l'acquisto delle armi che alimentano i conflitti e provocano le conseguenti gravissime violazioni dei diritti umani.
Nella riunione del Comitato tenuta a fine Novembre 2001 in Botswana, è stato definito un quadro complessivo di riferimento per la certificazione, che comincerà a essere applicata a metà 2002 e sarà pienamente effettiva alla fine del 2003. Esistono, infatti, ancora delle obiezioni di metodo e di principio da parte di un gruppo di ONG che hanno partecipato attivamente ai lavori (Action Aid, Amnesty International, Fatal Transactions, Global Witness, Oxfam International, Partnership Africa Canada, Phisician for Human Rights, World Vision) e che hanno richiesto specifiche più stringenti sui paragrafi 13,14 e 15 della VI Sezione della procedura: in particolare, sulla raccolta dei dati relativi all'estrazione, sul meccanismo di coordinamento e sulle regole che presiedono all'attività di monitoraggio.
Sostengono le necessità di questi rigidi controlli alcuni Stati -soprattutto africani- come Sudafrica, Botswana, Namibia che sono forti produttori di queste pietre (questi tre stati insieme producono grezzo per 4 miliardi di dollari), e temono i possibili contraccolpi negativi sul mercato per effetto di campagne di controinformazione e boicottaggio, e anche i protagonisti economici del mercato come la De Beers, il Consiglio Mondiale dei diamanti, l'Associazione Internazionale dei Produttori di diamanti.
Alcuni grossi paesi - invece - sono restii a introdurre la certificazione obbligatoria: ad esempio gli USA, che acquistano il 65% dei diamanti venduti in tutto il mondo (anche se proprio gli USA hanno approvato a fine Novembre 2001 il "Clean Diamond Trade Act" che impone controlli alla importazione di diamanti provenienti da zone di conflitto), o la stessa Russia, produttrice di gemme grezze per quasi 2 miliardi di dollari. Forti resistenze si registrano implicitamente anche da parte di paesi come Israele e India che effettuano lavorazione e taglio di gemme grezze rispettivamente per oltre il 25% ed il 40% del totale mondiale.
Senza l'approvazione da parte del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, che darebbe alla procedura il crisma della obbligatorietà, non ci sarebbero controlli né certificazioni.
Il Kimberley Process dovrebbe garantire il riconoscimento della provenienza dei diamanti lavorati e commercializzati in tutto il mondo, per impedire che le pietre provenienti da aree di conflitto entrino nel commercio lecito. Ma il commercio dei diamanti insanguinati ha trovato un'altra strada: la Svizzera. Kimberley è il nome della cittadina sudafricana che ospitò il primo dei numerosi incontri atti a discutere e regolamentare la produzione e il commercio di diamanti, garantendone la provenienza ed escludendo dal mercato internazionale le pietre provenienti dalle zone di conflitto. L’accordo che porta questo nome fu firmato nel 2002, dopo le sollecitazioni delle Nazioni Unite, da 37 paesi e dai maggiori produttori e commercianti di diamanti, come De Beers. Dal momento della fondazione ad oggi, l’accordo si è allargato ed include più di 70 paesi: tutti i maggiori produttori di diamanti e gli acquirenti principali, inclusi tutti gli stati facenti parte dell’Unione Europea. I controlli sono divenuti sempre più precisi ed efficaci, riducendo sensibilmente la fetta di mercato occupata dal commercio di diamanti insanguinati, la cui vendita andava a finanziare le guerre civili. Secondo i produttori si è passati dal 4% del 1990 all’1% attuale, con un trend ancora in calo.
Come si possono ottenere simili risultati? Semplice: per poter far parte dell’organizzazione, ogni stato deve soddisfare determinate caratteristiche:
1) i diamanti provenienti dal paese non devono essere destinati a finanziare gruppi di ribelli o altre organizzazioni armate che mirano a rovesciare governi ufficialmente riconosciuti dalle Nazioni Unite;
2) ogni diamante esportato deve essere accompagnato da un certificato, redatto dallo stesso paese esportatore, che garantisca il rispetto del processo;
3) divieto di commerciare diamanti con paesi che non aderiscano al Kimberley Process.
In linea di massima queste tre disposizioni dovrebbero impedire la commercializzazione di pietre provenienti da zone di conflitto, tuttavia aggirare il sistema non è certo cosa impossibile, soprattutto in alcuni paesi. Nigrizia denuncia però chiaramente come le maglie del controllo in Svizzera si facciano decisamente meno fitte. 
Segue in capitolo 3.

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